«Chi comanda in una società? Gli esseri umani o il capitale finanziario?». La domanda, evidentemente retorica, posta dal presidente ecuadoriano Rafael Correa ai propri interlocutori durante un’intervista – rilasciata a fine 2012 – in quel di Cadiz, in Spagna, lascia palesemente intendere quanto il Presidente del Paese andino sia critico verso le politiche neoliberiste che imperversano in Europa e hanno comportato l’intensificarsi della crisi, la disoccupazione di massa con il suo corollario di miseria crescente, l’inevitabile lacerazione del tessuto sociale in cui langue il Vecchio Continente.
Uno scenario, questo, ben conosciuto in America Latina, Ecuador in testa, dove le politiche di rientro di bilancio imposte da Fondo Monetario Internazionale e Banca Mondiale tra gli anni 80′ e 90′, basate sul liberismo selvaggio, fecero scempio. Causando una fuga di massa dall’intero subcontinente. Si calcola che abbandonò l’Ecuador circa un terzo della popolazione. Una porzione importante di migranti si diresse dal paese andino verso l’Europa. A essi Correa si è rivolto nel suo tour che ha toccato Spagna, Germania e Italia, dove il Presidente ha avuto anche un incontro con il Papa, primo sudamericano nella storia della chiesa a salire sul soglio di Pietro.
A questi migranti costretti a lasciare la propria terra natia, Correa ha potuto mostrare come l’Ecuador sia stato trasformato dalla Revolucion Ciudadana. L’interessante piattaforma politica di emancipazione che ha comportato un radicale e rapido cambio di sistema dove preminente è il concetto di Buen Vivir e non più il raggiungimento del massimo profitto.
A questo punto, è forse utile andare a constatare, brevemente, com’era stato ridotto l’Ecuador prima dell’avvento al potere di Rafael Correa, da una partitocrazia corrotta e asservita agli interessi dell’imperialismo nordamericano. Basta citare pochi dati, per comprendere in che modo dagli anni 80′, sino ai primi anni del 2000, la ruota della storia iniziò a girare incredibilmente all’indietro. La disoccupazione esplose e con essa la povertà: metà della popolazione urbana era costretta a sopravvivere con circa 2,7 dollari al giorno, mentre nelle zone rurali la povertà estrema toccava vette mai raggiunte. Si calcola che all’incirca il 90% della popolazione non avesse accesso al cosiddetto paniere dei beni di prima necessità. Visto che il salario medio mensile di un lavoratore era di 145 dollari, mentre la spesa minima per la sussistenza di 378 dollari. E i salari congelati, in ossequio ai dogmi economici liberisti. Insomma una serie di errori e orrori che aggravorono la situazione invece che risolverla.
Altra analogia inquietante tra l’Ecuador e la cupa Europa contemporanea schiacciata sotto il tallone di ferro dell’austerità, è quella riguardante l’esponenziale aumento dei suicidi. Che aumentarono, così come accade adesso, in maniera particolare tra i giovani che non vedevano speranze nel loro futuro.
Rafael Correa – economista avveduto e già professore di economia presso la Universidad San Francisco de Quito – ha potuto così lanciare un monito ai governanti europei, rammentando loro come le ricette economiche utilizzate acriticamente, siano le medesime imposte al subcontinente sudamericano che portarono alla disintegrazione di quelle economie e dei loro tessuti sociali. «L’America Latina – ha affermato Correa in un’intervista all’Ansa – è esperta in crisi, perché le abbiamo vissute tutte. La crisi europea è molto simile alla nostra crisi del debito degli anni 80′, vedo adesso quello che si è fatto allora, gli orrori con il Fondo Monetario Internazionale, i pacchetti di salvataggio di migliaia di milioni destinati non al popolo in crisi. Con le misure imposte non restò nulla per il Paese, ma le somme servirono per pagare i debiti con le banche private. Servirono a garantire il capitale finanziario. Vedo che gli stessi errori si stanno commettendo adesso in Europa».
«Non voglio dare ricette – continua il Presidente ecuadoriano – vi dico soltanto non fate gli stessi errori. Guardate all’esperienza latinoamericana degli anni 80′ e la Grande Depressione negli Stati Uniti dove sono state applicate le stese misure di oggi in Europa, acuendo la crisi con il presidente Hoover. Per questo le politiche anti-crescita, con i licenziamenti che ampliano la crisi, in economia vengono chiamate le misure hooveriane e sono le ricette che vengono applicate adesso in Europa».
La serrata critica di Correa è tutt’altro che meramente ideologica e confermata dai fatti, dai numeri e dalle statistiche del «nuovo» Ecuador della Revolucion Ciudadana in marcia verso il Socialismo del Buen Vivir. Da quando il 15 di gennaio del 2007, Correa, divenne presidente dell’Ecuador, il Paese andino cresce, in media, più dell’intera regione sudamericana, 4,5% contro 3,5% nel quinquennio 2007-2012. Riducendo drasticamente la povertà. Una crescita che avviene non solo dal punto di vista economico: secondo l’ultimo rapporto dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per lo Sviluppo, l’Ecuador è la nazione che ha scalato più posizioni nella classifica che misura l’indice di Sviluppo Umano. Indicatore di sviluppo macroeconomico utilizzato accanto al Pil, dall’Onu, per valutare la qualità di vita nei paesi membri. L’indice tiene conto di differenti fattori quali l’alfabetizzazione e la speranza di vita.
Uno sviluppo diverso, di tendenza socialista, che ha portato sicurezza sociale e debellato ogni forma di sfruttamento. Innalzato i salari dei lavoratori al loro punto più alto, ben oltre la soglia del paniere di base per la sussistenza. Con la disoccupazione scesa al 4,1%, il tasso più basso dell’intera America Latina. Questo avviene in Ecuador, perché grazie alle politiche messe in campo da Correa, si stanno distruggendo i dogmi dell’economia ortodossa, neoclassica, che pretende di affermare che i posti di lavoro si creano riducendo gli stipendi alla soglia di sussistenza e delocalizzando la produzione.
A questo punto possiamo rispondere alla domanda del presidente Correa: in Ecuador come in gran parte dell’America Latina la società è comandata dagli esseri umani, in Europa detta legge il capitale finanziario.
Fabrizio Verde