Mentre nel Paese andino si registra una netta vittoria di Rafael Correa con la sua «Revolucion Ciudadana» in Italia si profila una situazione d’ingovernabilità.
Le recenti tornate elettorali in Ecuador e Italia, due paesi molto distanti oltre che diversi, hanno portato a risultati radicalmente diversi. Infatti, mentre nel paese andino si è affermato nuovamente il presidente uscente Rafael Correa alla guida del movimento Alianza Pais-Patria Altiva y Soberana, riuscito in sei anni di «Revolucion Ciudadana» a far tornare a vedere la luce ad un popolo disperato dopo la ventennale «buia e lunga notte neoliberale»; in Italia, invece, le elezioni hanno prodotto una situazione di sostanziale ingovernabilità, nonostante i cittadini si siano espressi chiaramente contro le politiche di austerità imposte dall’Unione Europea, premiando oltre ogni ragionevole previsione il Movimento Cinque Stelle fondato dal comico genovese Beppe Grillo.
Potrebbe apparire azzardato, di primo impatto, il confronto dei risvolti politici di due paesi così diversi. Ma in realtà, le situazioni sono per certi versi molto più similari e intrecciate di quanto non traspaia da una visione superficiale degli eventi. Sia in Italia, che in Ecuador, per analizzare la situazione politica seriamente, è difatti necessario volgere lo sguardo ai mutati paradigmi economici e sociali.
Di cruciale importanza è il ventennio 80′-90′ del secolo scorso: quando il tessuto sociale dello stato andino veniva disgregato per effetto delle misure neoliberiste adottate – sia dai conservatori che dai socialdemocratici – sulla scorta dei “consigli” imposti da Fondo Monetario Internazionale e Banca Mondiale. Le stesse politiche che timidamente cominciavano a far capolino anche in Italia, e che porteranno alla graduale, ma sistematica dismissione dello stato sociale, portata a compimento dal governo presieduto da Mario Monti. Ovvero, di tutti quei diritti conquistati attraverso le dure lotte operaie degli anni 60’ e 70’.
L’Ecuador precedente l’avvento al potere di Rafael Correa che rigetterà le misure neoliberiste e risolleverà le sorti dello stato andino, era un paese ridotto allo stato semi-coloniale dov’era stato privatizzato tutto il privatizzabile – in primis le risorse naturali – segnato da indigenza per larghe fasce della popolazione, grandi disuguaglianze sociali, forte emigrazione verso l’Europa; con crescita economica assente, Prodotto Interno Lordo in picchiata, debito in crescita esponenziale e assenza di stabilità politica. Nessuno prima di Correa – nonostante un tentativo di golpe – riuscirà infatti a portare a compimento una legislatura intera.
Come non notare le similitudini tra l’Ecuador – ma la situazione era simile in pressoché tutta l’America Latina – liberista e l’attuale Europa devastata dalle misure d’austerità. In maniera particolare nei paesi del sud, i cosiddetti Pigs, dove si registrano tassi di disoccupazione a doppia cifra, privatizzazioni selvagge, svalutazione di salari e pensioni, crollo della crescita economica, aumento delle disparità. I popoli europei, così come i sudamericani sino alla fine degli anni 90’, non vedono prospettive e ciò comporta l’inevitabile aumento dell’instabilità politica. I tempi non sono ancora maturi affinché s’inneschi anche in Italia quel processo di nuovo protagonismo popolare che ha portato Correa e la sua “Revolucion Ciudadana” a valicare il limite dell’esistente; alla costruzione del “Socialismo del Buen Vivir”. Per questo dalle urne esce vittorioso un movimento interclassista e sostanzialmente ondivago nei contenuti come quello di Beppe Grillo.
Fabrizio Verde