La ministra dell’Integrazione: “Bisogna far cadere i muri, conoscersi, parlarsi e trovare uno spazio condiviso. Nel Paese e nel governo. La riforma della cittadinanza? Ci sono persone cresciute qui né italiane né straniere”.
Roma – 3 maggio 2013 –“Io non sono di colore, io sono nera, e lo dico con fierezza. E sono italo congolese. Appartengo a due culture, a due Paesi che sono dentro di me e non potrei essere interamente italiana o interamente congolese. Questo giustifica la mia doppia identità, questo giustifica ciò che mi porto dietro”.
La ministra dell’Integrazione Cécile Kyenge ha esordito così, stamattina, nella conferenza stampa di presentazione del suo mandato. Perché utilizzare “terminologie e modi giusti” per parlare di “tante persone che fanno parte di questo Paese rafforza la nostra identità”.
Kyenge ha ricordato il suo percorso nel Partito Democratico: “Con Livia Turco e con il Forum Immigrazione abbiamo cercato di portare anche nel partito temi che riguardano l’integrazione e l’immigrazione. Con un approccio che vada verso politiche di accoglienza e a non pensare all’ immigrazione solo in termini di sicurezza”. Poi l’assocazionismo, “sempre a fianco delle persone in molte piazze, in Italia e all’estero, dove la gente chiedeva aiuto e chiedeva di essere ascoltata”.
La ministra è medico oculista, professione che ha esercitato per molti anni: “Soltanto di fronte alle difficoltà – racconta – ho capito che chi ha la possibilità e la capacità di mettere al servizio di altri le proprie competenze deve farlo. Questo ha rafforzato in me l’idea stessa di fare politica, di stare in mezzo alle persone per tradurre meglio un progetto politico” .
Citando Don Ciotti, Kyenge dice di voler trasformare il suo ministero dell’Integrazione un ministero dell’Interazione. “L’interazione è l’obiettivo più ambizioso, anche se ne abbiamo paura. Quando in Emilia, la mia terra, c’è stato il terremoto, sono caduti i muri e noi abbiamo dovuto mescolarci per forza, è stato duro , ma da lì si è capito che se vogliamo una nuova coesione sociale, una nuova forma di convivenza, dobbiamo partire dal conoscere le altre persone, le altre culture, chi abita accanto a noi e insieme ripartire”.
Un discorso che riguarda l’Italia, ma anche il governo di cui fa parte, con le sue tante anime. “È una sfida. Dobbiamo imparare a tracciare un terreno condiviso, con linguaggio che non possa offendere l’altro per dare risposte alle emergenze e alle priorità del Paese: crisi economica, nuove povertà , lavoro. Se vogliamo risollevare il Paese ognuno di noi deve riuscire a capire che facciamo parte di una squadra”.
E gli attacchi razzisti di questi giorni? “L’Italia – ribatte la ministra – non è un Paese razzista, ha tradizione di accoglienza. Si parla di razzismo perchè non conoscenza dell’altro e quindi aumenta la diffidenza e la discriminazione, mentre l’immigrazione è una ricchezza, le diversità sono una risorsa. Non importa la mia risposta a quegli attacchi, ma le tante risposte che sono arrivate dalle istituzioni e dalla società civile. Dimostrano che non esiste solo quell’Italia, solo chi urla più forte, ma esiste un’altra Italia ed è su quella che mi soffermo”.
Le deleghe del suo ministero non sono state ancora definite (di sicuro non c’è più quella alla Cooperazione Internazionale), ma di sicuro sarà “un ministero trasversale, che lavorerà con molti altri ministeri, come l’Interno, il Lavoro o l’Istruzione, perché l’integrazione inizia nei banchi di scuola. L’integrazione e le diversità devono entrare in tutti i settori, nelle istituzioni , nella pubblica amministrazione e nella vita quotidiana. L’integrazione deve avere delle linee guida e il mio ministero deve fare un cambiamento culturale”.
Kyenge, prima che al traguardo, guarda al percorso da fare, anche all’interno del governo. “Il cambiamento arriva quando sono tutti responsabilizzati e si cambia approccio su alcune tematiche. Forse le risposte arriveranno quando io non sarò più ministro, ma intanto avremo creato una mentalità aperta di integrazione e interazione. Interazione non solo con i migranti, ma con tutti i cittadini. Tutti pronti a un nuovo approccio per l’accoglienza e nella consapevolezza che questo è un paese meticcio. È questa l’Italia verso cui dobbiamo andare”.
Un banco di prova importante sarà la riforma della cittadinanza. “Faccio parte di una squadra e l’Africa mi ha insegnato che a volte si possono cambiare delle cose anche senza urlare, cercando condivisione, cambiando linguaggio. Bisogna riferirsi soprattutto alla quotidianità, che ci dice che abbiamo persone che nascono e crescono in Italia e non si sentono nè italiane né del Paese dei genitori. Cerco solo risposte a come si sta presentando in questo momento la società”.
La ministra non dimentica certo altre emergenze dell’immigrazione, come quella dei Centri di Identificazione ed Espulsione. “Bisogna trovare delle risposte –dice – che non riguardano solo l’Italia, che vadano oltre le frontiere , cominciare a trattare le politiche dell’immigrazione a livello europee, perché una risposta isolata è senza peso, le risposte vanno trovate in gruppo.”
E in quel gruppo è “importante portare la propria esperienza e la propria fermezza per dare risposte anche a queste emergenze. Sono tanti e difficili da raccontare i temi e le cose che mi hanno accompagnato in questi anni. Ma una sola cosa – conclude la ministra – per me è chiara: prima di tutto la persona”.
Elvio Pasca