Il Comune aveva negato i 1000 euro ai genitori stranieri. La Cgil: “Per pura cocciutaggine ideologica sprecati 100 mila euro di soldi pubblici”.
Roma – 14 marzo 2013 – L’annosa storia del bonus bebè di Brescia è uno dei tanti casi in cui lle amministrazioni locali anti-immigrati di oppone la forza delle leggi anti-razziste.
Nel 2008 il sindaco Adriano Paroli, sostenuto da una maggioranza Pdl-Lega Nord, decide di dare 1000 euro alle famiglie visitate dalla cicogna, ma solo se almeno uno dei genitori è italiano. Quattro immigrati e l’Asgi fanno ricorso e vincono: per il tribunale la scelta del primo cittadino è discriminatoria. Paroli, però, non si rassegna, e sceglie la rappresaglia: pur di non darlo agli immigrati, toglie il bonus anche agli italiani.
É solo una tappa della battaglia legale che vede il sindaco sconfitto sette volte. L’ultima risale allo scorso gennaio, quando la sezione Lavoro del tribunale di Brescia ha dichiarato discriminatoria la delibera che annullava il bonus e ha ordinato al Comune di pagare le spese legali e di risarcire l’Asgi e i quattro immigrati per il “danno da discriminazione”.
In questi giorni il Comune ha versato i risarcimenti: tremila euro a ognuno dei genitori e 15mila euro all’Asgi. Secondo la Cgil bresciana, che è stata in prima fila nella battaglia, a conti fatti tra spese legali e risarcimenti in questi anni sono stati “sprecati, in tempo di tagli, per pura cocciutaggine ideologica circa 100mila euro di soldi pubblici”.
E potrebbe non essere finita qui. Come spiega il segretario provinciale del sindacato Damiano Galletti, “entro il 6 aprile il Comune può presentare appello. Il nostro invito al sindaco e alla maggioranza è a fermarsi, per non fare la fine dei giapponesi nella seconda guerra mondiale”.